Il talento… so bene che questo argomento suscita molto interesse ma anche molti dibattiti e che la zona neutra tra la visione medico-farmacologica e quella naturale più olistica è ampia e difficile da decifrare pertanto ci sono sempre fronde di adulti pronti a mettersi in uno o nell’altro schieramento.
Io cercherò di parlare di questo argomento per quella che fino ad ora è stata la mia esperienza umana e professionale ma non voglio prendere posizione in quanto tutti gli integralismi, qualunque essi siano, cerco di allontanarli dal mio pensiero e rimanere il più neutra ed obiettiva possibile.
Sempre più bambini e ragazzi mi arrivano a Studio con problematiche di DSA, una magica sigla entro la quale stanno talmente tante cose che è poi difficile fare un riscontro pratico nella persona che ho davanti perché in realtà capisco che il problema è marginalmente la persona di per sé bensì la realtà che gli sta intorno; una realtà fatta di casa, Scuola amici ed altro dove il soggetto non si sente stimolato nella sua interezza, dove l’anima che contiene si sente bloccata ed il talento innato non solo non viene capito ed apprezzato ma soprattutto implode non potendo avere l’opportunità di emergere.
Ma andiamo per gradi, i disturbi più frequenti sono Deficit dell’Attenzione ed Iperattività, ADHD così definito in sigla, i quali consistono molto spesso in una sola parola NOIA!!
Principalmente penso che ci sia da chiedersi perché fino a qualche decennio fa questo disturbo non esistesse o comunque non fosse così diffuso come oggi. I genitori di un tempo ma non sono passati secoli, erano senza dubbio più severi rispetto a quelli attuali ma lasciavano i bambini più liberi, si vedevano i bambini correre, cadere, sbucciarsi le ginocchia e rialzarsi da soli, nell’unico modo esistente di poter fare esperienza, di sperimentare.
Oggi invece è più facile vedere nei diversi luoghi di aggregazione dei bambini genitori o figure adulte che vi gravitano intorno permissivi o troppo iperprotettivi: sorvegliano i figli a vista, riempiendoli di avvertimenti che poi diventano limitazioni come: “Attento a non sporcarti”, “Non correre che sudi o ti fai male”, “Presta i tuoi giochi anche agli altri”.
Queste figure genitoriali sono spesso spaventate dal gioco libero perché non controllabile e gestibile da loro, si sentono addosso un inesorabile peso di responsabilità, manifestano sensi di colpa per la loro assenza durante il giorno; cercano così di esorcizzare i vuoti riempiendo i pomeriggi con attività prestabilite senza lasciare ai bambini potere decisionale, spazi per esprimersi liberamente ma anche tempo per annoiarsi che non guasta mai.
Oltre a questo mi sento di aggiungere anche l’aspetto costrittivo che i nostri bambini devono vivere quotidianamente all’interno della Scuola, fin dalla materna, in cui molte volte vale più la perfomance del gioco.
Di tutta risposta ai bambini non resta altro da fare che provare a ritagliarsi uno spazio di assoluta libertà individuale per se stessi. Ma quante volte capita sentir dire dall’insegnante: “Signora, suo figlio è sempre distratto, non ascolta, si muove e parla in continuazione”. È una frase che spesso i genitori si sentono dire dalle maestre, ma come fare a distinguere un comportamento “patologico” da una sana tendenza ad essere attivo?
Diviene pertanto importante non confondere la semplice facilità a distrarsi con il disturbo da iperattività, perché si rischia di considerare patologici dei comportamenti normali, dovuti il più delle volte ad un’innata impulsività che si risolve da sola con la crescita. Come osservava Winnicott, caposcuola della Psicologia infantile: “Non c’è nessun legame fra irrequietezza psicomotoria e insufficienza mentale”, anzi mi sentirei di dire che i bambini iperattivi hanno spesso un’intelligenza più vivace e rapida.
Mi spiego meglio. Cosa è il disturbo dell’attenzione o l’iperattività se non una impulsività, una mancanza di autocontrollo delle proprie emozioni, del proprio fare opportuno e contingente alla situazione?
Ma oggi questi termini hanno trovato quasi un posto di onore all’interno dei Dizionari Medici, si possono e devono assumere farmaci per “calmare” la situazione e tanto per farvi una citazione sappiate che negli USA dove la “patologia” è stata scoperta ed analizzata da tempo il Ritalin è un farmaco che viene molto usato dai bambini a partire dai 10 anni di età ma quello che è più sorprendete è il fatto che se essi stessi vogliono poi inserirsi nell’esercito statunitense gli verrà impedito proprio per l’assunzione temporale di questo psicofarmaco.
Forse qualcosa non quadra!
L’ADHD ovvero sindrome da iperattività si manifesta con eccessiva vivacità, movimenti incontrollati e sempre più frequenti, stimoli continui, guai scolastici e difficoltà di gestione del comportamento del bambino anche in ambito familiare.
Ovviamente con queste caratteristiche ambienti troppo costrittivi sono deleteri per la crescita, lo sviluppo e soprattutto gli aspetti relazionali che divengono spesso costanti campi di battaglia.
La questione Iperattività però è un vero e proprio contrasto ideologico e spesso scientifico in quanto c’è chi la vede e vive come una vera e propria malattia da arginare in quanto di origine genetica e chi invece la vede come un falso problema frutto dell’incapacità o degli schemi educativi adulti.
Con questo non voglio dire che non ci siano bambini in situazione di disagio profondo ma per quella che è la mia esperienza essi avrebbero solo bisogno di altri approcci educativi, scolastici e di crescita fatti di contesti più amorevoli, accoglienti e soprattutto pratici perché essendo dei kinestetici, per caratteristica di nascita usano molto il corpo, hanno sempre bisogno di muovere la propria energia corporea ed attraverso il fare, il protagonismo riusciamo a gestirli meglio.
Fintanto che pensiamo che ci sia una pillolina magica a risolvere tutto, a sedarli e calmarli senza metterci noi in discussione cercando di approfondirne le reali cause non abbiamo risolto niente e saranno solo loro a rimetterci nella loro evoluzione spirituale in quanto non si realizzeranno per quello che sono chiamati a fare in questa vita.
Le possibili cause che possiamo vedere di risolvere nella nostra pratica quotidiana con i nostri bambini, indipendentemente da una eventuale Certificazione come DSA sono:
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Abbandonare le eccessive aspettative nei confronti dei risultati scolastici (la tipica la frase: “Puoi fare di più…” potrebbe essere sostituita con “Pensi di avere dato il meglio di te nello svolgimento di questo compito?”).
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Lasciare spazio a maggior tempo libero per di gioco spontaneo in cui i bambini possono essere naturali sia a livello fisico che mentale.
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Lasciar andare l’iperprotezione e l’ipercontrollo da parte dei genitori o ancor peggio, al contrario, quella indifferenza verso i bisogni del bambino.
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Andare verso una nuova Pedagogia, maggiormente incentrata sull’individuo come totalità di sentimenti, campo fisico ed energetico attraverso anche l’adozione di Metodi didattici non più obsoleti e rigidi che puntino solo sul risultato ma non tengano conto della diversità dei bambini.
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Far evitare ai bambini uno stile di vita sedentario e troppe ore passate davanti alle immagini velocizzate della Tv, IPad, Cellulari, Videogiochi, ecc ma ritrovare il contatto con la natura ed i suoi elementi.
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Cercare di evitare situazioni di stress e stati di tensione continua in famiglia o altrove.
La base dell’apprendimento è principalmente Distrazione ed incanto
“Il cervello del bambino ha grande bisogno di distrarsi, per avere uno spazio libero in cui rigenerarsi.
Lo afferma la moderna neurofisiologia: se l’attenzione fosse continua, il cervello si esaurirebbe in poco tempo e non elaborerebbe ciò che ascolta”.
Se è proprio la distrazione a favorire la creatività del cervello, il suo apprendimento facendo emergere il talento individuale, perché dobbiamo continuare ad ostinarci a volere bambini sempre concentrati?
Creare un clima di fiducia, dare al bambino più gratificazioni, frazionare i compiti, sono solo alcune cose che gli insegnanti possono fare per aiutare il piccolo iperattivo a scuola.
Dare incarichi al bambino che lo facciano sentire importante, come ad esempio sistemare le sedie, pulire la lavagna o portare un messaggio a un altro insegnante. In questo modo non si riduce forzatamente l’attività del bambino ma la si incanala per finalità più accettabili.
Riuscire a convogliare il movimento in azioni congrue alla situazione ci permette di stabilizzare l’energia in eccesso.
Diminuire la lunghezza del compito assegnato in classe e la quantità dei compiti a casa in modo da abituare a piccoli passi il bambino a mantenere l’attenzione su ciò che fa. In questo modo si procede anche ad un allenamento attentivo.
Creare piccoli gruppi di lavoro che collaborano per lo svolgimento dei compiti, facendo lavorare il soggetto ipercinetico con il bambino più tranquillo in modo da equilibrarsi a vicenda.
La vivacità è sicuramente un punto di forza che andrebbe valorizzato.
Spesso l’impulsività viene scambiata per prepotenza e considerata in modo negativo e quindi punita; mentre bisognerebbe far leva ed incoraggiare la sua leadership vedendola come funzione di “traino” per gli altri bambini.
Maggiore autonomia nei compiti perché si sa, quando torniamo a casa stanchi dopo una giornata di lavoro, può essere faticoso mettersi accanto al bambino per fargli fare i compiti quando lui si distrae di continuo.
Non dobbiamo fargli sentire che abbiamo fretta che finisca, ma lasciargli tutto il tempo che gli serve, rassicurandolo che siamo disponibili in ogni momento ad aiutarlo, se non riesce.
Quando esce da scuola, non dobbiamo obbligarlo a mettersi subito a studiare, altrimenti non percepirà nessuno stacco tra i doveri della scuola e quelli di casa.
Sentendosi così costretto, cercherà ogni maniera per sfogare le energie fisiche trattenute nell’orario scolastico. È meglio offrirgli prima un’attività sportiva, oppure del movimento libero, magari al parco se c’è bel tempo.
I bambini iperattivi avrebbero bisogno di crescere in un ambiente tranquillo.
Vedere che i genitori non perdono la calma, ma al contrario sono comprensivi e teneri nei loro confronti è già una cura calmante.
Al tempo stesso, per gestire aggressività e altre difficoltà è fondamentale dare dei limiti.