La capacità di RESILIENZA in realtà cosa è …
Friedrich Nietzsche diceva:
Quello che non mi uccide, mi fortifica.
Il termine “resiliente” spesso utilizzato e molte volte abusato in ambito psicologico in realtà non tutti sanno di cosa realmente si tratti, ed il suo reale significato non è poi così conosciuto dai molti. In questo momento si parla spesso di RESILIENZA per quanto concerne il mondo adulto ma anche per quello dei bambini che secondo molti non hanno questo dono e capacità.
Ma in realtà cosa significa questa magica parolina?
Il verbo resilire si forma dall’aggiunta del prefisso re- al verbo salire ‘saltare, fare balzi, zampillare’, con il significato immediato di ‘saltare indietro, ritornare in fretta, di colpo, rimbalzare, ripercuotersi’, ma anche quello, traslato, di ‘ritirarsi, restringersi, contrarsi’, scrive l’Accademia della Crusca.
In realtà dobbiamo partire dal presupposto che con il termine “resilienza” non si prende a modello nessuna teoria o assunto Psicologico bensì è un termine che arriva direttamente dal “basso” mondo della scienza dei materiali. In Ingegneria è con questo termine considerata la capacità di un materiale di assorbire energia e resistere agli urti senza rompersi. In Biologia è la proprietà di un essere vivente di auto-ripararsi dopo un danno. In Psicologia è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici; come potete ben capire un termine che ha mille sfaccettature a seconda dell’ambito di utilizzo, ma che sta entrando sempre di più nell’uso comune.
Per il mondo psicologico analogicamente la resilienza indica la capacità di una persona di resistere alle difficoltà della vita senza farsi travolgere, affrontare tutte quelle belle situazioni problematiche e complesse che capitano a tutti i comuni mortali ma, senza uscirne come da un tritacarne, ovvero esauriti e stressati bensì rinforzati e migliorati.
Quello che potremmo richiamare con un’immagine, ovvero il fango, la melma dal quale nasce il Fior di Loto!
Resiliente quindi è colui che dopo aver affrontato una malattia è più forte di prima; chi non si abbatte dopo un amore finito male e riparte da zero o chi si rimbocca le maniche dopo una grossa delusione di lavoro.
La persona resiliente è difatti colei che riesce a dare un senso a ciò che gli accade, a trovare le risorse per andare avanti “nonostante tutto”, a mantenere il sorriso, la gioia per la vita anche se essa non è benevola con lei. La resilienza non ha niente a che fare con una vita facile, senza difficoltà ma piuttosto la capacità di reagire, di riadattarsi e ricostruirsi dopo le avversità. I diversi studi di Psicologia condotti sull’argomento ci hanno detto che la resilienza si apprende con l’esperienza diventando consapevoli dei propri limiti e delle proprie potenzialità, imparando a gestirli entrambi ed utilizzando le seconde a sostegno dei primi. Per fare tutto questo è importante che ognuno impari ad accettare le sfide, sia disposto a mettersi in gioco ed a fronteggiare le difficoltà nel modo più positivo ma soprattutto il segreto è sicuramente la disponibilità ad intraprendere un cambiamento.
Tutti gli esseri umani sono di per sé programmati al fine di sopravvivere a disastri naturali, calamità, guerre, ed ogni altra sorta di carestia o malattia, l’uomo infatti è “programmato” per resistere alle sventure, superarle e convivere quotidianamente con lo stress, al punto che si potrebbe anche dire che l’abilità di combattere e rialzarsi più forti di prima è la regola nel mondo umano.
Sembra che sia del tutto normale ed inevitabile combattere eventuali sconfitte, delusioni o conflitti quotidiani fintanto che la cosa cambia difronte a quello che potremmo definire sconvolgimento esistenziale, possibile causa di esso potrebbe essere un lutto importante, una violenza, un divorzio o separazione, l’andare in pensione o la perdita del lavoro, un arresto giudiziario tanto per citare i maggiori e più importanti eventi che vengono inseriti come grandi fonti di stress. E’ solo a questo punto che la persona capisce che ciò che si è spezzato è un equilibrio preesistente e ciascuno di noi cade nell’interrogativo più subdolo ma molte volte illuminante: Perché proprio a me? Che senso ha tutto questo?
Domande alle quali è impossibile sfuggire ma anche rispondere in modo consapevole e cosciente. In questo caso la formula migliore è quella di stare dentro alla sofferenza ridefinendola e vedendone il valore aggiunto; il trauma se non caricato di colpevolizzazioni o valori quali punizione o negazione della felicità con il suo accadere repentino ed imprevedibile può invece essere l’occasione della realizzazione superiore. Cominciare a vedere le difficoltà come opportunità, una nuova sfida che necessita della mobilitazione di tutte le risorse interne ed esterne, una sfida dalla quale non si può tornare indietro in quanto ne risentirebbe l’equilibrio funzionale tutto.
Essere resilienti a questo punto possiamo dire significa avere la capacità di autoriparazione dal danno trovando una nuova identità, ricostruendo dalle ceneri, reinventandosi una nuova vita. Questo è un dono inestimabile ma che comunque non ci rende invulnerabili alle avversità, molte volte le situazioni sono troppo pesanti per poter essere sopportate e supportate in modo tale da non generare instabilità più o meno duratura o pervasiva. Ricordiamoci che non siamo Supereroi ma il fatto stesso di essere diventati resilienti avendo superato conflitti, battaglie o altro in precedenza ci predispone ad una maggiore consapevolezza in apertura alla fiducia di farcela.
Vi sono fattori di rischio che rendono le persone più vulnerabili e allontano da loro la capacità resiliente; fattori come bassa autostima, scarso controllo emozionale, isolamento, chiusura, difficoltà nel legame o relazione genitoriale, abusi, disturbi della sfera della comunicazione ed anche deficit dell’attenzione.
Fattori invece che sono stati indagati come fattori di protezione della capacità resiliente sono: sensibilità, autonomia, buon temperamento, autocontrollo, competenze sociali e della comunicazione, consapevolezza e fiducia nelle proprie abilità e rinforzo di queste attraverso il “locus of control” interno ovvero la capacità di sforzo per le conquiste che vogliamo fare.
Per quanto concerne i bambini è importante l’elevata attenzione che si riserva loro nel primo ano di vita, la qualità relazionale tra i genitori, il sostegno materno, la capacità di coerenza nel l’apprendimento delle regole, l’avere importanti figure di riferimento affettivo. Pertanto mi sento di dire che non sono i bambini a non possedere capacità di resilienza come molti sostengono ma è la nostra società ed il nostro stile di vita che fa si che questo dono non si attivi, perché stimolandolo e coltivandolo durante tutta la crescita in sinergia con la loro ricchezza spirituale sarebbe sicuramente una capacità che li contraddistinguerebbe ancora di più.
Sono state individuate 5 componenti fondamentali che contribuiscono a sviluppare la resilienza (Cantoni, 2014): l’OTTIMISMO, vedere il lato buono e positivo di ogni cosa tendendo così ad alleggerire le difficoltà intensificando il problem solving. L’AUTOSTIMA perché il tuo giudice interiore è sempre il più severo e porta a non brillare di luce propria ma solo di quella riflessa. ROBUSTEZZA PSICOLOGICA ovvero la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente, una chiara definizione degli obiettivi, la visione del cambiamento come opportunità. EMOZIONI POSITIVE significa focalizzarsi su ciò che si possiede non ciò che è mancante. SUPPORTO SOCIALE essere cioè oggetto di amore, di cure ed attenzioni di stima ed apprezzamento.
Poi concludendo posso solo dirvi che ciò che determina la resilienza non è altro che la qualità delle risorse personali e dei legami che si sono venuti a creare prima e dopo l’evento traumatico.
Detto questo lavoriamo affinché la nostra capacità resiliente sia viva e ci sostenga ogni qual volta ne avremmo bisogno.